Prosegue il nostro viaggio insieme a Nicolò alla scoperta delle fasi di realizzazione dei manoscritti. In questa tappa siamo alla ricerca dei segreti che si celano dietro alle miniature. Vogliamo sapere come venivano realizzati i colori.
Riprendiamo il nostro viaggio…
Ci siamo catapultati nello scriptorium della Vercelli del XIII secolo. Abbiamo osservato con attenzione i ferri del mestiere del copista, per conoscere qualche segreto utile a comprendere i manoscritti della Biblioteca Capitolare.
Ora approfittiamo della momentanea assenza di un miniatore per avvicinarci al suo banco di lavoro.
Anche qui sul leggio troviamo un rotolo di pergamena, con il testo precedentemente trascritto da un amanuense. Su un tavolino c’è la penna d’oca circondata da una miriade di pigmenti, utilizzati per la realizzazione di preziosissime miniature.
Cosa sono le miniature?
Sono le decorazioni dei manoscritti, il nome deriva dal latino minium, un minerale, il minio, da cui si ricavava il colore rosso.
Le miniature erano usate per abbellire i capolettera ovvero l’iniziale della prima parola della riga di un testo, i bordi e anche per la produzione di vere e proprie figure, come un libro illustrato ante litteram.
Ma come venivano realizzate?
Nella maggior parte dei casi i materiali venivano triturati fino ad ottenere una polvere fine alla quale era poi aggiunto un legante (albume d’uovo, gomma arabica, vino bianco). In seguito la penna era intinta nel composto e si iniziava il disegno, riempiendo gli appositi spazi lasciati vuoti dal copista. Infine la miniatura era cosparsa di allume di potassio mediante un pennello, per donare brillantezza.
Ma quali erano i pigmenti maggiormente utilizzati per miniare i manoscritti?
Tra cocciniglie e piante orientali: come si ricavava il rosso
Il rosso è uno dei colori più utilizzati e poteva essere ricavato da elementi del mondo animale e vegetale.
Tra le alternative vi è la cocciniglia della lacca un parassita vegetale che secerne una sorta di resina, chiamata appunto lacca, utilizzata come colorante. Dal vermiglio della quercia, un’altra cocciniglia, si ottiene il Kermes. E poi ancora, dalla Rubia tinctorum, una pianta di origine asiatica coltivata anche in Italia, si ricava la robbia o rosso robbia.
Il blu splendente e l’oro prezioso
Il blu oltremare è presente nei manoscritti più pregevoli. Molto costoso, era ricavato dai lapislazzuli estratti dalle miniere dell’Afghanistan nord-orientale. Utilizzato fin dall’antichità nelle sue regioni d’origine, nei manoscritti europei il suo utilizzo risale IX secolo.
Per la realizzazione di un colore blu più economico si ricorreva all’azzurrite. Questo minerale era estratto anche in Europa, ma la sua colorazione risultava molto meno intensa rispetto a quella ottenuta dai lapislazzuli.
Così come la versione costosa del blu, anche l’oro rientra tra i materiali più preziosi utilizzati nelle miniature. Le modalità di applicazione erano diverse a seconda del risultato che si voleva raggiungere: poteva essere applicato in forma liquida, in polvere, sciolta in gomma arabica o tuorlo d’uovo. Oppure poteva presentarsi in forma di foglia d’oro, come lamina dorata martellata fino a renderla sottilissima e applicabile al foglio.
Giallo e verde
Per ottenere il giallo si ricorreva a vari materiali, da quelli minerali come l’ocra a quelli vegetali come lo zafferano. L’ocra gialla è utilizzata sin dalla Preistoria ed essendo un materiale piuttosto comune non ha un valore molto elevato. Lo zafferano invece, più raro, costoso e con modalità produttive più difficoltose è la versione del giallo più costoso.
Il verde era realizzato con la terra verde, minerale facilmente reperibile o con la malachite. Quest’ultima è un minerale di rame il cui giacimento italiano più importante si trova sull’Isola d’Elba e viene sfruttato da tempo immemore. Un altro modo per ottenere il verde intenso era miscelare il giallo ottenuto dallo zafferano con l’azzurrite. Un verde pallido, chiamato vergaut, poteva invece essere ricavato dalla miscela di indaco e ocra o zafferano.
Bianco e nero, i “non colori”
Per ottenere il bianco, utilizzato sia per i disegni sia per schiarire gli altri pigmenti, venivano usati il gesso e la biacca o bianco di piombo. Gli albumi d’uovo mescolati insieme al gesso davano una tonalità di bianco più freddo rispetto a quello ottenuto con la biacca.
La biacca, probabilmente introdotta dai Greci, è stato il pigmento bianco più utilizzato fino all’epoca moderna, sostituita poi tra XIX e XX secolo dal bianco di zinco e dal bianco di titanio.
Il nero, veniva ricavato, oltre che con l’inchiostro ferro-gallico con dei neri di carbone, come il nerofumo o il nero di vite. Quest’ultimi si ottenevano rispettivamente dalla combustione di carbon fossile e di tralci di vite.
Come abbiamo già visto, in alcuni casi i pigmenti potevano essere miscelati tra loro per ottenere sfumature più chiare o più scure, o per dar vita a nuovi colori. Una volta eseguite anche le miniature il tocco finale spettava ai legatori, che si occupavano di rilegare il volume.
Ora è tempo di lasciar concludere al miniatore la decorazione dei manoscritti. Spostiamoci quindi verso la postazione del legatore.
Il viaggio continua…
Nicolò Bellomo, operatore di Servizio Civile Universale