Per #museodifferente luglio è il mese del viaggio. Il Museo del Tesoro del Duomo contiene tantissime opere d’arte che hanno percorso chilometri e secoli. Storie affascinanti e piene di avventura. Curiosa la vicenda del pittore boemo Francesco Antonio Mayerle, giunto a Vercelli nel Settecento. Chi era costui?
Il Settecento è il secolo del Gran Tour, del Rococò e del Neoclassicismo, dell’Illuminismo, dell’Encyclopédie, della satira e dei feuilleton. Opere d’arte, antiquari ed eruditi fanno lunghi viaggi attraverso un’Europa sempre più estesa. E con loro anche artisti a caccia di glorie presso corti e spregiudicati aristocratici. A Torino sono chiamati a lavorare il messinese Filippo Juvarra, i napoletani Corrado Giaquinto e Francesco De Mura, il veneziano Giambattista Crosato, giusto per citarne alcuni.
Il caso Mayerle
Curioso il caso di Francesco Antonio Mayerle (1710 – 1782) che giunge a Torino per altri motivi.
Sappiamo che è di origine boema. Praga è la sua città natale. Sono i documenti a dire come è giunto in Piemonte. Carlo Emanuele III di Savoia aveva acquistato a Vienna la quadreria appartenuta al principe Eugenio di Savoia. A seguirne il trasposto Giovanni Adamo Wehrlin, pittore e restauratore austriaco, che chiama come aiuto proprio Mayerle. Nella capitale sabauda il pittore boemo non riparerà solo quadri, ma darà inizio alla propria produzione artistica.
Sue tele si trovano nella cappella di San Carlo nella Basilica del Corpus Domini, come nella chiesa del Monte dei Cappuccini di Torino, oggi sicuramente più famosa per il bel panorama che si può godere dalla terrazza. Pure Mayerle lavorerà anche al di fuori di Torino. Al Santuario di Vicoforte, come nella parrocchiale di Agliè, di fronte al celebre il Castello Ducale.
Oltre a Torino: Mayerle a Vercelli
Come già ricordavano le fonti antiche, gran parte della vicenda artistica di Francesco Antonio Mayerle si consuma anche a Vercelli, dove morirà nel 1782. In città licenzia diverse tele per le principali chiese: in San Cristoforo, in San Lorenzo, in San Giuliano, in San Paolo, in Sant’Anna. E, ovviamente, nella Cattedrale di Sant’Eusebio. Per la Cattedrale vercellese realizza sei dipinti di piccolo formato. Quattro con episodi della vita del santo patrono, mentre le altre due raffigurano scene della Passione. Per il Palazzo Arcivescovile, annesso alla Cattedrale, Mayerle esegue la pala d’altare per la cappella privata del vescovo. Queste sono solo una minima parte della sua ricca produzione artistica in Vercelli. Per non parlare delle opere che Mayerle dipinge per il territorio circostante. Di recente restauro, ad esempio, è una tela conservata ora al Museo Borgogna, proveniente dalla chiesa abbaziale di Santa Maria Assunta di Lucedio.
E alla Fondazione Museo del Tesoro Duomo?
Tra i quadri confluiti nella Pinacoteca Arcivescovile vi sono anche due tele di Francesco Antonio Mayerle. Una rappresenta la scena della Visitazione, cioè il momento in cui Maria comunica ad Elisabetta che diventerà la madre di Cristo. L’altra tela invece rappresenta in modo iconico gli Angeli adoranti il Sacro Cuore di Gesù. Entrambe provengono dalla chiesa annessa al monastero della Visitazione, soppresso e oggi sede dell’Archivio di Stato di Vercelli.
Il particolare del Sacro Cuore di Gesù può richiamare alla mente una subcultura contemporanea, dove il soggetto sacro si avvicina ad un tattoo old school. Forse le espressioni del viso sono un po’ stucchevoli. Ma Mayerle mostra in altre parti un alto senso del disegno e del colore. Con un’attenzione anche a particolari secondari, come si può vedere nel bel cagnolino ai piedi di Maria nella prima tela. Ecco perchè il pittore boemo, già solo per il suo impegno professionale, occupa un posto di rilievo nel panorama del Settecento pittorico vercellese, e non solo.
Dario Michele Salvadeo, Volontario SCN Vercelli
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