Che cosa ci fa un corallo rosso nella Vercelli medievale e perché si trova in un reliquiario esposto in Museo?
Ecco un articolo per soddisfare la vostra curiosità!
Che cosa vi aspetta in Museo
Il reliquiario architettonico della Beata Vergine, di Santa Caterina e di San Barnaba risale alla seconda metà del XIV secolo ed è stato prodotto da un’oreficeria locale.
Si presenta in forma di edicola architettonica, sulla cui facciata anteriore ci sono due finestrelle per le reliquie. Al suo interno due angeli attorniano il bauletto contenente il dito di San Barnaba e sostengono una cornice a mandorla. Qui è racchiusa l’ampolla con la reliquia di Santa Caterina.
I due angeli presentano sullo sfondo un alberello di corallo rosso, donato alla Cattedrale di Sant’Eusebio dall’arcidiacono Martino de Bulgaro (1278-1368).
Il testamento nell’Archivio Capitolare
Il corallo è citato per la prima volta nel testamento del 1362 di Martino de Bulgaro come “curalium cum pede de argento”. L’arcidiacono dispone che l’oggetto venga esposto sull’altare di Sant’Eusebio durante le principali festività. Il reliquiario e il corallo sono ricordati nell’Inventarium scripturarum existentium in Archivio Sancti Eusebii Vercellensis del 1426. Possiamo dedurre che la loro unione sia posteriore a tale data.
Non si può affermare con certezza la provenienza del corallo. Forse una donazione, da parte di Aimerico Avogadro di Cerrione, abate del monastero di San Benigno di Codifaro di Genova. Fu lui, il 16 febbraio 1344, a donare delle spine della corona di Cristo a Martino de Bulgaro.
Sappiamo con certezza che in epoca medievale i coralli potevano giungere al mercato vercellese da centri costieri tra Chiavari e Portofino. Ma anche dalla Sicilia o dalla Francia meridionale, dove veniva pescato già in epoca romana, transitando sempre dal porto di Genova.
Mitologia e Cristianesimo: dalla Gorgone a Gesù
Nelle Metamorfosi Ovidio riconduce la nascita del corallo al contatto tra il sangue fuoriuscito dalla testa di Medusa, decapitata da Perseo, e delle alghe, usate dall’eroe per coprirla.
Impregnate di sangue le alghe si pietrificarono e presero la caratteristica colorazione cremisi. Fin dalla Preistoria l’uomo ne è affascinato, anche se i primi a praticarne una vera e propria pesca furono Greci e Fenici.
Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia descrive come i Galli legavano i rametti di corallo al collo dei bambini per allontanare gli spiriti maligni e lo usassero per adornare spade, scudi ed elmi.
Nell’Antica Roma veniva utilizzato in polvere, per prevenire e curare crisi epilettiche, incubi e mal di denti. Molto probabilmente veniva utilizzato anche come merce di scambio per prodotti provenienti dall’Oriente, dove era molto richiesto.
Nella simbologia cristiana rappresentava il sangue di Cristo versato per la salvezza dell’umanità, senza perdere il suo valore apotropaico e medicinale.
Tra arte e poteri magici nel Medioevo
Nel Medioevo veniva considerato come il “talismano dei talismani”. Gli attribuirono il potere di placare le tempeste, di proteggere dai fulmini e di allontanare la grandine dai campi coltivati.
Veniva usato per realizzare i grani del rosario, manici di posate e stuzzicadenti. Gli orafi ne realizzavano collane e bracciali, croci montate in argento da portare al collo. Era un classico dono di battesimo per i neonati delle famiglie altolocate.
Arredo fisso delle tavole gentilizie medievali e tardo-medievali, ai rami venivano fissate “lingue di serpente”, montate in argento. Punte di frecce preistoriche, frammenti di fossili o pietre che accostate al corallo si credeva svelassero la presenza di veleno nei cibi. Anche quello donato dall’arcidiacono presentava “multis linguis serpentium”, oggi andate perdute insieme al piede d’argento, come leggiamo nel suo testamento.
Ciò fa avanzare un’ulteriore ipotesi sulla sua provenienza, ovvero che provenga dalla casa di un nobile.
Dall’arte rinascimentale ad oggi
In epoca rinascimentale sono molti gli artisti che lo inseriscono all’interno delle loro opere.
Come dimenticare il rametto di corallo al collo del Bambino nella Madonna di Senigallia di Piero della Francesca. O, ancora, il braccialetto nella Madonna col Bambino di Andrea Mantegna oggi all’Accademia Carrara di Bergamo, prefigurazione della futura Passione di Cristo.
Tra le opere manieriste non possiamo non citare il Ritratto di Giovanni de’ Medici del Bronzino, in cui il secondogenito del Granduca di Toscana Cosimo I e futuro cardinale ne porta un rametto al collo.
Dopo la Controriforma si diffuse l’usanza d’indossarlo come collana o appeso alla cintura con funzione di amuleto e di protezione dai demoni.
Soprattutto nell’Italia meridionale ha mantenuto la sua funzione apotropaica fino alla metà del secolo scorso. Oggi viene sostituito dai tipici cornetti rossi, che richiamano appunto la forma e il colore del corallo utilizzato un tempo.
La scienza del corallo tra errori e geniali intuizioni
Molti uomini sapienti hanno cercato nel corso dei secoli di studiare e definire la natura del corallo, non sempre con buoni risultati.
Gli studiosi greci, romani e medievali (Teofrasto di Ereso, Plinio il Vecchio, Ovidio, Seneca, Marbodo di Rennes, S. Alberto Magno) classificarono il corallo come un vegetale, in quanto nella sua forma ricordava un piccolo alberello.
Nel 1649 Filippo Finella, alchimista e astrologo napoletano, nel suo Soliloquium saliurn empyricum è il primo a intuire la natura animale del corallo, anche se non venne creduto dalla comunità scientifica dell’epoca.
Bisognerà aspettare quasi un secolo perché il medico francese Andrea Peysonnel riesca a dimostrare che il corallo è la dimora di una colonia di animali, i polipi, la cui anatomia verrà studiata nel 1783 dal biologo napoletano Filippo Cavolini.
Nel 1864 il biologo Henri de Lacaze-Duthiers pubblica l’opera fondamentale per lo studio del corallo Histoire naturelle du corail valida ancora oggi.
Breve cenno di zoologia
E’ grazie a questi studi che oggi sappiamo che il Corallium rubrum è costituito da colonie di polipi lunghi pochi millimetri, provvisti di otto tentacoli usati per procurarsi il plancton di cui si nutrono. Questi animaletti si riproducono asessualmente per scissione, dando origine a due individui identici, oppure sessualmente, dando vita ad una planula (una sorta di larva). Essa vagherà fino a trovare un substrato adatto a cui ancorarsi e a riprendere un nuovo ciclo.
Producono scheletri di carbonato di calcio in cui vivono. Questi si fondono e stratificano, rimanendo anche dopo la morte dell’animale, permettendoci così di ammirare quegli “alberelli” che affascinano l’uomo da millenni.
Nicolò Bellomo, operatore volontario di Servizio Civile Universale