Giuseppe Ferraris: un sacerdote, uno storico, un perfezionista, un critico sagace, uno studioso che si è impegnato a scavare nei meandri della storia vercellese.
Un uomo che, oltre ad essere riuscito a mettere da parte la sua mania di “voler correre dietro a una virgola o a un punto o alla lunghezza di una frase” dando alla luce alcune pubblicazioni essenziali, ha lasciato ben undici faldoni di “Studi e ricerche” e di “Appunti”. Una massa eterogenea di inestimabile valore per chiunque avesse intenzione di compiere lavori di ricerca sui documenti (codici antichi, pergamene, regesti..) conservati presso la Biblioteca e Archivio Capitolare di Vercelli.
Di chi si tratta?
Monsignor Ferraris è stato un personaggio celebre e decisivo per la storia della Chiesa vercellese.
Nato a Caresana, venne ordinato sacerdote nel 1929 e dal 1931 diventa Archivista della Curia Arcivescovile. Tuttavia, l’incarico per cui ancora oggi viene ricordato è quello di Canonico Archivista, che assunse a partire dal 1955 fino alla morte, avvenuta nel 1999. Spettava a Mons. Ferraris la responsabilità della cura e dell’apertura agli studiosi dell’Archivio, della Biblioteca Capitolare e della custodia del Museo del Tesoro della Cattedrale, nel momento in cui venne istituito nel secondo dopoguerra.
Le lunghe note a piè di pagina di Monsignor Giuseppe Ferraris
Secondo Anthony Grafton, storico della prima età moderna, l’apparato di note a piè di pagina che uno studioso inserisce nelle proprie ricerche rappresenta la fonte di attendibilità e di sostegno alla disciplina, ma è anche il modo per comprendere come uno storico pensa. L’ingente quantità di appunti lasciati da Mons. Giuseppe Ferraris costituiscono una vera e propria miniera d’oro.
Fra le righe, infatti, si legge la passione e l’attitudine divertita con cui Mons. Ferraris si approcciava al “pulviscolo storico” immergendosi nella lettura dei documenti scovati.
Un pescatore di storia e di storie
Nei suoi appunti ricorrono trascrizioni “simpatiche” e “curiose” e aneddoti “inconsueti” dei codici conservati nella Biblioteca Capitolare di Vercelli, spesso separate da una trattazione sistematica. L’obiettivo di Giuseppe Ferraris era mettere a disposizione degli storici i documenti conservati nei luoghi in cui lavorava.
“Il nostro lavoro – scrive Ferraris – è molte volte un po’ come quello del pescatore che pretende di tirar su pesci dal mare con le mani”. Niente può essere tralasciato. Per questo soleva passare intere giornate in Archivio o in Biblioteca sulle tracce “qualche granello di polvere storica che benché ermetica potrebbe rivelarsi utile in futuro”.
Un uomo definito “schivo dal chiasso inutile”
Le parole di Adso da Melk, protagonista del capolavoro di Umberto Eco Il nome della rosa, usate nel tratteggiare il suo maestro Guglielmo da Baskerville sono probabilmente valide anche per Monsignor Giuseppe Ferraris. “Io non sapevo allora cosa frate Guglielmo cercasse, e a dire il vero non lo so ancor oggi, e presumo non lo sapesse neppure lui, mosso com’era dall’unico desiderio della verità, e dal sospetto — che sempre gli vidi nutrire — che la verità non fosse quella che gli appariva nel momento presente”.
La sete di conoscenza che accompagnò per tutta la vita il sacerdote-archivista-storico vercellese fece di lui un uomo schivo, ma consapevole. Una persona che alternava momenti di fredda chiusura ad altri di simpatica affabilità.
Post scriptum
Tutte le citazioni di Monsignor Giuseppe Ferraris sono prese dal fondamentale saggio ll laboratorio dello storico: gli apparati di note di Flavia Negro.
Paolo Colombo