
L’avvocato Montessori
“Egregio signor giudice, in merito al giorno di cui lei mi sta interrogando non le riferirò altro di ciò che mi ero già premurato di relazionare al giudice Gerolamo. Il giorno in questione, martedì 2 agosto di quest’anno, 1864, sono uscito dal mio studio in via Verdi e mi sono beatamente incamminato verso il mio appartamento, situato in una traversa di Corso Italia. Saranno state le 17 e 30 circa perché avevo appena terminato il mio tè presso il Bar Italia. Tutto – compresa la lite con mia moglie che mi avrebbe atteso una volta giunto a casa – rientrava nella solita, incalzante routine. Nessun brigante, nessun ladro, né tantomeno un omicida o, più speranzosamente, una bella donna, hanno avuto il privilegio di distogliere la mia attenzione dal ritorno a casa. Cosa che avrei volentieri fatto.
L’unico essere umano che ha incrociato il mio cammino ormai ben impostato è stato il nostro nuovo vescovo. Chino, dopo essersi allacciato le scarpe all’altezza di Piazza D’Angennes, si è alzato e si è incamminato verso la Cattedrale.
Io non so altro, non ho visto altro e non intendo in alcun modo rovinarmi questo piacevole pomeriggio con la vostra compagnia. Sono stato tutto il giorno in tribunale a difendere quell’imbecille di Gioberti che ha deciso di mettersi ad urlare a squarciagola nel bel mezzo della notte in piazza Cavour… Lascio a voi, signor giudice, immaginare la reazione della Vercelli che conta. Anche io avrei sottoscritto volentieri le denunce che sono piovute su quel cretino, se soltanto non avessi una tal penuria di lavoro in questi tempi di miseria. Ah! Mi lasci per la mia strada. Vi assicuro di non aver visto altro di ciò che avevo raccontato a Gerolamo e che or ora ho ripetuto a vossignoria.”
Il giudice Gerolamo
“Bene signor Montessori. Mi sembra proprio che lei abbia fatto la sua parte e per questo la ringrazio molto. Vorrei anche porle le mie più sincere scuse in merito alla questione della doppia testimonianza. Essendo che il suo grande amico d’infanzia, nonché mio stimato collega, Gerolamo Avogadro, in queste ultime settimane si è trovato in gravi condizioni di salute per via di una violenta febbre, mi sono trovato costretto per la gravità della fattispecie ad assumere io stesso le redini del caso. Non parlo con malizia dicendo che la sua testimonianza sarà decisiva per la risoluzione del caso. Il diavolo sta nei dettagli, signor Montessori. E tra poco le risulterà molto più chiaro il motivo della sua presenza in aula quest’oggi, oltre al motivo per cui oggi provvederò alla scarcerazione immediata del vescovo.
Per giorni e giorni di erranza nel vuoto più totale, ho cercato di districarmi all’interno di un caso che sembrava sempre più un groviglio di lacci. Pochi lacci, ma annodati ben bene tra loro in modo da non permettere allo scioglitore di separare l’uno dall’altro. Insomma, una matassa senza capo né coda. Né assecondando il profilo di ciascuno dei lacci, né cercando di guardare al groviglio nella sua interezza, andando alla ricerca del laccio mancante, ero riuscito a capirci alcunché.
Intanto, dopo gli innumerevoli giorni di malattia del suo amico Gerolamo, un’accusa di omicidio pende sul vescovo ordinato appena un mese fa. E i giornali in queste tre settimane di reclusione del clericus non hanno fatto altro che gettare infamia sulla giustizia del Regno. Io sarei dovuto giungere ad una soluzione al più presto. E in fretta.
Quali erano i lacci di cui disponevo? Che cosa avevo in mano – chiederà giustamente in questa sede, Signor Montessori?”
Beh, innanzitutto un morto
Un cadavere è stato ritrovato all’interno del cortile dell’Archivio Capitolare. Il medico condotto, analizzando il cadavere disse che doveva essere stato ucciso pochissimo tempo prima di quando venne trovato da suor Maria alle 17 e 40. Nessuno nei paraggi. Tutti in città si trovavano proprio in Cattedrale per la celebrazione di Sant’Eusebio. Sicuramente l’assassino non scelse a caso il luogo e il momento per compiere il misfatto. Oltre al danno, la beffa! Che più viene compiuta dinnanzi al naso di tutti, più ne rimane celata la fonte.
“Che altro? Poco Signor Montessori. Ben poco. Un povero cristo che ha fatto di piazza D’Angennes la sua abitazione asseriva di aver visto, completamente ubriaco, il papa senza mitria. E poi il parere di un autorevole avvocato, Lei, che dice di aver incontrato il vescovo pochi attimi dopo il presunto omicidio. Se è vero che l’alibi smentito è indizio a carico, signor Montessori, Lei risulta totalmente estraneo ai fatti dato che molti hanno confermato la sua presenza al Bar Italia fino alle 17 e 20 circa. Successivamente, intorno alle 17 e 40, Lei stesso ha incontrato sull’uscio di casa, la moglie del suo amico Gerolamo, venuta per ragguagliarla in merito alle sue condizioni. Non è così?”
“Precisamente.”
“Ora. Signor Montessori, il punto cruciale. Il laccio più lungo e aggrovigliato: l’Arcivescovo.”
L’Arcivescovo
“In primis, vorrei sottolineare come né io, né alcuno dei miei colleghi in Vercelli lo abbiamo potuto conoscere personalmente, visto il brevissimo periodo per cui è stato in carica. Tra le mille faccende e i mille affanni delle prime fasi del mandato arcivescovile, vi è – come è risaputo – la visita al cardinale torinese presso la capitale del neonato Regno d’Italia.
L’arcivescovo, dopo aver egli stesso tenuto l’omelia della messa delle 17 in onore di Sant’Eusebio in Cattedrale, non ha aspettato la fine della celebrazione – terminata intorno alle 17 e 40 – e si è subito incamminato verso la stazione in modo da non perdere il treno delle 17 e 55 per Torino. Alla sera incontrò effettivamente il cardinale per cena, ma al suo ritorno a Vercelli l’indomani mattina gli sarebbe toccato l’ordine di arresto emesso dal giudice Gerolamo sulla base della sua testimonianza, signor Montessori. Ma quella del 2 agosto a Torino non sarà l’ultima cena dell’Arcivescovo da uomo libero. Nossignore.
Essendo Lei l’unica persona, insieme al pazzo ubriaco di Piazza D’Angennes ben noto ai seminaristi per gli schiamazzi notturni, ad aver visto il Vescovo sulla scena del delitto, non posso che fondarmi sulla Sua testimonianza e su ciò che ho dedotto dalle mie ricerche. Ebbene, il groviglio di lacci, sembra proprio risultare un groviglio di lacci di scarpe.
Nessuno sarebbe portato a sottolineare ciò che rientra perfettamente nella norma. Tendiamo piuttosto – in quanto umani e in quanto testimoni in un processo – a rimarcare quelle differenze che deviano dalla realtà, sfociando da ciò che non solo è consuetudine, quanto semplicemente “non anormale”. Ma lasciatemi chiarir meglio questo punto: lei, signor Montessori, non ha notato che il vescovo – o presunto tale – stava camminando senza sgambettare. E non l’ha notato perché non vi era alcunché da notare.”
Eppure, come saprà bene: il diavolo sta nei dettagli.
“Dalle mie ricerche ho potuto appurare che da qualche settimana a questa parte il calzolaio della curia si trova in un gravissimo stato di febbre dovuto all’epidemia che ha colpito anche il suo amico e giudice Gerolamo. Che c’entra con l’omicidio dell’Archivio Capitolare? Beh, c’entra eccome. E’ proprio il laccio nascosto. Chiunque abbia visto il fuggevole vescovo in queste prime affannosissime settimane di mandato non può non essersi accorto del suo modo di camminare, o meglio, di sgambettare, per via delle calzature che è obbligato ad indossare durante le celebrazioni. Decisamente troppo strette per il suo piede perché costruite appositamente dal calzolaio della curia per il vescovo precedente, pace all’anima sua.
Lo stesso Arcivescovo mi ha riferito – ed è stato confermato dai passanti che l’hanno incrociato – di essersi recato di malavoglia dal cardinale vestito ufficiosamente e portando quelle odiatissime scarpe da cerimonia.
“Stupende” – mi disse lui stesso quando lo interrogai in cella di persona – “ma strette, troppo strette per me”.
Eppure Lei, signor Montessori, mi dirà che il ragionamento non fila. L’Arcivescovo avrebbe potuto semplicemente, dopo aver compiuto il misfatto, essersi cambiato le scarpe o semplicemente essersi sforzato di camminare in modo ritto e normale per quel breve tratto di strada dalla Cattedrale fino alla stazione.
Si sbaglierebbe. I vescovi sono due. Come due sono le paia di scarpe.
Il diacono, nel mio pressante desiderio di conoscere la verità dei fatti, mi riferì che il vescovo (quello vero) quando venne arrestato in stazione indossava le stesse scarpe che lui stesso gli aveva forzosamente inserito nei piedi per la messa di Sant’Eusebio. Non solo. Il secondo paio di scarpe da cerimonia presente nella Diocesi – mi disse – era scomparso. Non si trovava più dal quel 2 agosto.”
Le scarpe rosse del Vescovo
“Il caso è da considerarsi chiuso, ma ecco che ora, signor Montessori, scende in campo lei per sciogliere definitivamente la matassa che ha aggrovigliato la Sua vita, due Vescovi, uno finto e uno vero, il mio tempo ed un poveretto assassinato, peraltro pure senza identità.
Si ricorda per caso di che colore erano le scarpe della persona – l’assassino – vestito da vescovo che lei ha visto chino mentre si stava legando i lacci?”
“Pur essendo di fretta per via dell’incontro con la moglie di Gerolamo, sì, ho visto che indossava un paio di scarpe rosse. Con una serie di decorazioni dorate ridondanti e molto raffinate. Mi avevano davvero colpito anche se con Gerolamo non mi era parso il caso di dilungarmi in quello che mi sembrava un particolare davvero poco rilevante. Ah, a proposito di presunte piccolezze: il Vescovo non indossava la mitria. Guarda un po’ te che quell’ubriacone di via D’Angennes che mi sveglia tutte le notti l’ha detta giusta!”
Le scarpe verdi del vescovo
“Esatto! Anche io ero convinto che ci fosse un briciolo di verità dietro alle parole di quella carogna. Ciò che conta di più, però, è che il vescovo, dal 2 agosto stia indossando un paio di scarpe da cerimonia verdi. E con decorazioni dorate decisamente meno vistose di quelle portate dall’assassino. Sicuramente scomode, ma non per la giustizia vercellese.”
“Il diavolo sta nei dettagli, giudice Leonardi.”
“Precisamente, signor Montessori, il diavolo sta nei dettagli. Nella fattispecie: nelle scarpe. Si proceda a scarcerare il vescovo. E toglietegli dai piedi quelle dannate scarpe da cerimonia, le voglio subito agli atti!”
Paolo Colombo