Il 5 febbraio di ogni anno ricorre sant’Agata, patrona della città di Santhià e di Catania, protettrice delle balie, invocata contro le eruzioni vulcaniche. A Milano si festeggia con le “chiacchere”. A Vercelli trova una sua raffigurazione nell’Andata al Calvario di Giuseppe Giovenone il giovane. Compare in primo piano di fronte a Cristo che porta la croce, con tutto il corteo della passione secondo la consueta iconografia. Che sia sant’Agata lo capiamo dalle ferite messe in evidenza sul petto e dalla palma del martirio ai suoi piedi. Perché la giovane martire perì dopo varie torture tra cui lo strappo dei seni, non aveva che vent’anni. La sua presenza nella scena è inconsueta, forse dettata dalla sede di provenienza del quadro.
La tavola è conservata nel palazzo Arcivescovile di Vercelli dal 1819. In seguito alle soppressioni degli ordini religiosi fu requisita insieme ad altre opere dal governo francese durante l’epopea napoleonica e confluita nel Palais National, poi sede della Prefettura. Da lì è transitata nella sua sede attuale. Il dipinto ha conosciuto nel Novecento numerose attribuzioni che legavano il quadro alla cerchia di Bernardino Lanino, al suo nome, alla sua bottega. Sarà Vittorio Viale, nel 1973, ad attribuire l’Andata al Calvario e il suo cartone preparatorio a Giuseppe Giovenone il giovane. Si aggiunse così un tassello all’individuazione di un pittore allora pressoché dimenticato.
Oggi sappiamo che Giuseppe Giovenone il giovane occupa un posto di primo piano nel panorama artistico del Cinquecento piemontese. Ce lo dicono le fonti storiche, i documenti di archivio, gli atti notarili. Ma anche lo stile non mente. Fine ritrattista, è stato un pittore da un’originale tavolozza, accordata a quei toni allora in voga nella penisola italiana, in piena Controriforma. Infatti, come si può notare nel quadro, vengono utilizzati colori accesi e tra loro dissonanti, sebbene si richiamino spesso tra loro. L’Andata al Calvario testimonia come la bottega di Giuseppe Giovenone il giovane sia stata capace di aggiungere un tocco personale ad una tradizione pittorica, fissata da Gaudenzio Ferrari, ampliamente consolidata, che trovava allora il suo indiscusso custode in Bernardino Lanino.
Dario Salvadeo, volontario SCN Vercelli