Che fosse per mantenere una relazione con una persona conosciuta lontano da casa o semplicemente per lasciare una traccia del proprio passaggio in terra straniera, a partire dal XVI secolo molti studiosi e personaggi facoltosi della borghesia e dell’aristocrazia europea si portarono con sé un biglietto, detto appunto da tasca. Non è altro che l’antesignano dell’odierno biglietto da visita – detto anche di visita – sfruttato più che altro in ambiente professionale. Un must per tutti coloro che intendono dare il proprio contatto al prossimo alla ricerca dell’occasione di turno.
La ricerca in Biblioteca e Archivio Capitolare
Senza contravvenire al celebre principio per cui è offesa grave non accettare il biglietto da visita di una persona – offesa pari al rifiuto di non voler detenere alcunché del titolare, nemmeno il nome – quelli che sono pervenuti alla Biblioteca e Archivio Capitolare per mezzo dei suoi svariati “frequentatori”, sono stati accettati e conservati fino ad oggi.
Andando a rivedere i moltissimi biglietti da tasca lasciati da professori universitari, curatori di archivi e sacerdoti che sono passati dalla Biblioteca per approfondire le loro ricerche attraverso la lettura e la consultazione degli antichi codici qui conservati, si comprende che questi cartoncini possono essere considerati come dei veri e propri pezzi della storia e della personalità di coloro che hanno deciso di concederli all’Archivio Capitolare per segnare il loro passaggio.
Dammi il tuo biglietto da tasca e ti dirò chi sei
Ripercorrendo la vita di alcuni degli individui passati da Vercelli, abbiamo scoperto, per esempio, Paul Meyer, un filologo francese che pose il suo nome sull’Album delle firme dell’Archivio Capitolare Eusebiano il 22 ottobre del 1884. Giorno in cui probabilmente analizzò alcuni codici per perfezionare le sue conoscenze del francese e del provenzale nell’Italia medievale in vista di una celebre pubblicazione: “De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen-Âge” avvenuta nel 1904. Il saggio venne definito addirittura come “uno di que’ lavori che soltanto i competentissimi possono permettersi di scrivere, giacché unicamente ad essi, posti come sono quasi sopr’eccelsa vetta, torna lecito abbracciare d’un sol colpo d’occhio l’amplissima distesa di sottoposte regioni” da parte dello studioso Francesco Novati nel suo Attraverso il Medioevo.
Meyer non era di certo ossessionato dal suo biglietto da visita, come l’assassino Patrick Bateman, protagonista del cult American Psycho, ma come si può notare dal font utilizzato per il nome, dall’attenzione alla grafica e dalla minuziosità nell’inserire tutti i riconoscimenti ottenuti nella sua vita, si può presumere che fosse una persona che aveva molto a cuore l’immagine che il prossimo o i posteri si sarebbero fatti di lui.
Conclusioni non scontate
Insomma, se il biglietto da visita fosse soltanto uno strumento per permettere al proprio interlocutore di ricordare il nome e cognome, allora perché il Dottor Adam Miodonski, passato dall’Archivio Capitolare di Vercelli nel 1980 sulle tracce dell’Evangeliario di Sant’Eusebio, avrebbe deciso di farsene uno con il bordo dorato? Un tocco di classe non indifferente, che ancora oggi, manipolando controluce il biglietto, riserva sorprese all’osservatore e lo riporta ad un’epoca lontana. Da questi dettagli possiamo cogliere l’abilità dell’artigiano ma soprattutto il gusto raffinato dell’intestatario.
Lo studioso della trasmissione latina dell’Apocalisse di Tommaso, Edmund Hauler, il fotografo specialista per la riproduzione del bianco-nero Cesare Sartoretti e il Chevalier de l’ordre de l’etoile polaire Carl Paul Caspari sono soltanto alcuni dei docenti che, almeno per un giorno, hanno messo mano ai codici antichi presenti in Biblioteca Capitolare e che hanno deciso di lasciare il loro biglietto da visita. Esso, insieme alla loro storia, è arrivato fino a noi.
Paolo Colombo