
Sul concetto di posizionamento
Nel marketing il posizionamento si configura come quella parte del modello di business di un prodotto in grado di stringere un legame molto forte con i propri clienti. Un legame fondato non su fatti, non sulla qualità del prodotto, ma su una percezione. Infatti il consumatore risulta più fedele nel momento in cui si immedesima con l’immaginario proposto dall’azienda in questione.
Quindi, per esempio, sarà disposto a spendere migliaia di euro per un computer Apple se ritiene che le funzionalità e il design minimal dei loro device siano i migliori presenti sul mercato. Se il posizionamento va di pari passo con il prodotto, il brand afferisce alla reputazione e all’immaginario che si forma nella mente dei consumatori relativamente all’azienda.
Insomma, le imprese sono davvero disposte a raccontarci di tutto e di più, ma la verità è che ogni motto presenta un non-detto spesso trascurato.
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Per quanto venga impacchettato accuratamente a mo’ di Tiffany, noi consumatori dobbiamo scontrarci con la realtà delle cose.
Il prodotto è un oggetto, non un’idea né tantomeno una percezione. Se l’immaginario ci permette di volare con l’immaginazione, non c’è albatros che sia capace di sopperire all’insoddisfazione cronica dell’essere umano. A questo serve il brand: speculare sul bisogno insoddisfatto dei consumatori. Il tutto posizionando nelle loro menti il nuovo prodotto di turno il più vicino possibile all’immagine ideale che loro stessi si creano di quel prodotto.
Per dirla con le parole di Jeff Bezos, fondatore di Amazon: “Your brand is what other people say about you when you’re not in the room.”
Il tuo brand è ciò che si dice di te quando tu non sei nei paraggi
L’adesione totale – meglio ancora se acritica e infondata – è la ricetta per un’ottima campagna di marketing. Attenzione però, Chiara Ferragni e gli influencer di oggi sono figli di un qualcosa che ha accompagnato l’uomo per secoli.
Il capitalismo sfrenato degli ultimi cinquant’anni ha soltanto sfruttato queste dinamiche in modo aziendale creandone una vera e propria scienza, ma l’adergenza – nel senso latino di ergere “ad”, innalzare a – di un concetto o di un’idea ad un credo, a un’ideologia, esiste da sempre. E poi basta guardare 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick per farsene un’idea.
Il concetto di imitazione
Ciò che abbiamo chiamato posizionamento, dunque, non si realizza concretamente soltanto nell’acquisto di una borsa di Gucci piuttosto che di H&M, ma anche nella forma dell’imitazione. Il fine ultimo non è l’acquisto di un prodotto, ma l’imitazione di un idolo, di un mito. Spesso a proprio malgrado.
A titolo di esempio, si guardi alla storia. L’anno successivo alla pubblicazione dei Dolori del Giovane Werther la facoltà di teologia di Lipsia bandì la vendita del libro per motivi di ordine pubblico perché moltissimi, dopo aver letto e riletto il romanzo, si suicidarono ponendo fine alla loro storia proprio come Werther pose fine alla sua, sparandosi.
Non inopinatamente, si possono riscontrare emulazioni letterarie anche nella storia più recente. Le porte della percezione di Aldous Huxley ha portato un’intera generazione al consumo frenetico e smodato delle droghe più pesanti e più variegate. Oppure si rifletta sul fatto che Mark David Chapman, per quanto psicologicamente instabile, aveva in mano una copia de Il giovane Holden di J.D Salinger nel momento in cui uccise il cantante di “Imagine all the people living life in peace”.
Imitazione vuol dire aderire incondizionatamente ad un modello
Eppure l’elevato numero di fonti da cui pescare le informazioni, oggi, da una parte ha gonfiato il numero di idoli e di miti, e dall’altra ha diminuito il numero di followers per ciascuno storyteller. Ciascuno con il proprio immaginario, ciascuno con la propria storia da raccontare. Ciò che risulta importante è l’aspetto sovente trascurato dell’innumerevole quantità di Werther, Holden Caulfield, John Lennon, L. Ron Hubbard, Martin Luther King, Jim Jones e Francesco D’Assisi che ci ritroviamo dinnanzi ai giorni nostri.
Oggi abbiamo la fortuna di appassionarci e di conoscere ciò che vogliamo. Eppure osservando la storia dell’uomo, essa risulta segnata da una costante infausta da cui prendere le distanze: l’adesione incondizionata ad un modello di riferimento.
Imitazione nel Medioevo significa Imitatione Christi
Nel Medioevo non era nemmeno concepibile una vita al di fuori dei dettami della religione cattolica e di tutte le regole che essa porta con sé. Chi osava contraddire la dottrina, magari anche in modo velato o indirettamente, veniva bollato come eretico e torturato. Ciò che è incomprensibile al giorno d’oggi è che spesso erano gli stessi fedeli a recarsi presso l’Inquisizione per sapere se avessero peccato o meno. Il tutto per rispettare e conformarsi al meglio ai modelli di riferimento del cattolico “Doc”, che permeavano la vita dell’uomo medievale.
Per questo motivo il cattolicesimo può essere considerato come il brand dalla reputazione e dalla capacità di creare un’adesione totale per i propri seguaci più forte della storia.
Si rimanga entro la dimensione del marketing
No. Non stiamo dicendo che la Chiesa di Roma e la Apple siano la stessa cosa.
Lasciando da parte la questione di fede, stiamo cercando di sviscerare il modo entro cui l’uomo di oggi si approccia al mondo alla luce delle differenze con quello che era il pensiero medievale, basato per lo più su convinzioni e superstizioni.
Per dirigerci in quella direzione si prendano le parole di Enzo Bianchi, saggista e monaco fondatore della comunità di Bose, in merito all’Imitatione Christi.
Il libro dell’Imitatione Christi
“Questo piccolo libro ha costituito per secoli un preciso punto di riferimento per la spiritualità cristiana, tanto che si può considerare il libro più letto dopo il Vangelo, meditato nei monasteri, letto nella vita religiosa e sacerdotale, tenuto come manuale di formazione cristiana robusta per tante generazioni di laici, di cristiani nel mondo”.
Proprio alla Biblioteca Capitolare di Vercelli abbiamo ritrovato una piccola ma graziosissima copia di quello che per secoli è stato il libro che ha incentrato la vita cristiana dell’uomo sull’imitazione di Gesù.
Il codice CCXXIV
Sfogliando le prime pagine del codice ci si rende conto di quanto l’uomo medievale avesse come unica prospettiva di vita l’emulazione del comportamento di Gesù. L’uomo che in termini di marketing, può essere considerato l’influencer più seguito di tutti i tempi. Un modello di condotta per le sue buone azioni, un maestro di vita per le sue parabole, un immaginario religioso a cui aderire no questions asked. Eppure, pur sempre un immaginario. La differenza sostanziale giace nei mezzi: invece di postare i selfie su Instagram, Gesù mandava gli apostoli e i discepoli a predicare la dottrina.
E così come un brand per poter rimanere tale deve essere mantenuto tramite una comunicazione ed un marketing di alto livello, anche una religione che si rispetti deve essere attrattiva. Sia per rafforzare la fede dei propri seguaci, sia per attirarne di nuovi.
Sottolineiamo ancora una volta che non stiamo confondendo un fedele con un cliente. L’obiettivo è un confronto critico. Un parallelo tra le dinamiche comuni alla modalità entro cui la religione si esprime – in questo caso il cattolicesimo – e il brand aziendale. Nel concreto, il codice CCXXIV fa al caso nostro.
Chi segue me non cammina nelle tenebre
Il libretto – quello dell’Imitatione Christi – conservato presso la Biblioteca Capitolare è attribuibile al XV secolo. Legature in pelle, tagli dorati e goffrati oltre a varie decorazioni sia all’interno che all’esterno denunciano che potesse probabilmente appartenere ad un monastero o ad un ricco aristocratico. Chissà.
Ponendo una divisione chiara e netta fin da subito tra il giusto e lo sbagliato, tra il bene e il male, la prima pagina si apre con il celebre incipit e con un’iniziale miniata, la Q, di pregevole fattura.
“Qui sequitur me, no ambulat i tenebris”.
La miniatura dal punto di vista geometrico è perfettamente inquadrata nello spazio disponibile, decisamente più ristretto rispetto alla maggior parte dei codici dell’epoca. I colori utilizzati, il rosso e il blu, sono di altissima qualità e ricorrono per tutte le iniziali di paragrafo, anch’esse miniate, di questo stupendo codice.
Tutti questi particolari, come anche la scritta dorata Imitatione Christi sul dorso, sono estremamente rilevanti per comprendere l’importanza che l’uomo medievale attribuiva alla religione.
Un benedettino? Un mercante molto ricco? Un aristocratico?
Le pagine di pergamena non sono né rovinate né macchiate. Inoltre le uniche note presenti oltre all’Imitatione Christi si trovano nelle ultime 4 pagine del codice.
Il possessore del Codice CCXXIV deve essere stato un individuo particolarmente attento dato che il testo si trova davvero in ottime condizioni. Una persona che teneva molto al proprio libellus, così come all’immagine che il libellus stesso dava di sé. Un seguace impeccabile e raffinato della dottrina cattolica sotto il segno dell’imitazione della vita di Gesù.
Un solo modello, l’Imitatione Christi
Insomma, conformare – non confermare – era l’unico grande assioma del marketing medievale. Facendo tutto il possibile per enfatizzare il concetto dell’Imitazione Christi tramite ornamenti e decorazioni di sorta. Come noi cerchiamo di vestirci come i grandi attori e comportarci come gli influencer, l’uomo medievale aveva Gesù come unico ideale di vita. In questo senso, più il manoscritto dell’Imitatione Christi era miniato, più il seguace della dottrina si sarebbe configurato come vicino al modello ideale proposto dai Vangeli.
E il codice CCXXIV conservato presso la Biblioteca Capitolare ne è di certo un ottimo esempio.
Paolo Colombo