Siamo giunti al sesto appuntamento di #confrontinaspettati, l’iniziativa dei volontari SCN del progetto La cultura che non ti aspetti.
Il libro protagonista del mese di luglio è Il Piccolo Principe scritto dall’autore francese Antoine de Saint-Exupéry.
Il Piccolo Principe
Pubblicato per la prima volta nel 1943, il Piccolo Principe è uno dei libri più venduti e tradotti al mondo. Motivo di tale successo, che la storia riscuote tutt’oggi, è la capacità dell’autore di comunicare temi complicati come l’amore, l’amicizia, la solitudine, il senso della vita e la morte in modo semplice e attraverso immagini suggestive e poetiche.
Il Piccolo Principe è una storia rivolta ai bambini che ha molto da dire anche agli adulti, i quali certe cose spesso dimenticano o danno per scontate. Antoine de Saint-Exupéry ripensa a quando era bambino, quel bambino che voleva fare il pittore, che ritorna nei panni del Piccolo Principe per riscoprire tutte quelle cose cui da adulti non si pensa più.
L’essenziale è invisibile agli occhi
Dopo aver lasciato il suo asteroide B612, il Piccolo Principe approda sulla Terra. Esplorando il nuovo pianeta il Piccolo Principe incontra svariati personaggi, tutti molto diversi fra loro. È qui che conosce la volpe che chiede di essere “addomesticata”.
“Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
L’addomesticamento, spiega la volpe, è un rito che serve a creare dei legami, ad avvicinare due persone che diventano così uniche l’uno per l’altra. È un rito fatto di promesse, di attese ma anche di addii e ricordi felici, perché quando si è stati addomesticati anche la lontananza porta con sé un briciolo di felicità.
Riti che legano e riti che allontanano
Antoine de Saint-Exupéry ci ricorda l’importanza dei riti e di gesti ripetuti a cadenza regolare che servono per addomesticare, per legarsi a qualcuno. Eppure il Piccolo Principe parla anche della tristezza dell’abbandono e della morte, di azioni che sembrano far del male ma posso procurare anche del bene.
È per questa ragione che per il nuovo #confrontinaspettati del Museo del Tesoro del Duomo abbiamo deciso di prendere in esame un rito completamente opposto a quello descritto nella favola del Piccolo Principe, ovvero un rito di esorcismo.
Addomesticamento e esorcismo possono essere considerati due lati di una stessa medaglia. Si tratta di riti molto simili tra di loro ma con un obiettivo contrario.
Susanna e i demoni
Tra i manoscritti medievali e i documenti conservati nella Biblioteca Capitolare di Vercelli, nel codice XII si trova il racconto di un rito molto particolare: un esorcismo compiuto alla fine del XII secolo, dall’allora vescovo di Vercelli Sant’Alberto degli Avogadro.
Come l’addomesticamento, anche l’esorcismo prevede dei gesti e delle parole ben precise, ma a differenza del primo che unisce, il secondo separa e allontana per sempre. L’esorcismo raccontato nel codice XII, parla di una nobildonna di Parma di nome Susanna, o Mabilia, posseduta da cinque demoni silenti e uno molto loquace. Secondo la storia, la donna si reca a Vercelli per essere esorcizzata nei territori di Sant’Eusebio secondo le precise istruzioni del demone loquace. Susanna viene esorcizzata da Sant’Alberto con il braccio di Sant’Emiliano, probabilmente un reliquiario a braccio come quelli conservati nel Museo del Tesoro del Duomo. Sentendosi libera la donna torna a Parma ma poco tempo dopo ritorna a Vercelli per essere nuovamente esorcizzata da Sant’Alberto. Questa volta, però, decide di stabilirsi in un palazzo in città per paura che con la lontananza i demoni potessero ritornare.
Con l’addomesticamento, il Piccolo Principe e la volpe si donano l’un l’altro creando un legame forte e indissolubile. Allo stesso modo, per ringraziare del bene ricevuto, Susanna dona alla Chiesa di Sant’Eusebio un sontuoso pergamo di marmo di cui faceva parte anche la famosa Madonna dello Schiaffo, lasciando un segno indelebile nella città di Vercelli.
Silvia Spagnoletti, volontaria SCN