#museodifferente: sfida a colpi di cultura
Reperti archeologici! Dipinti! Sculture! Manoscritti! La convivenza è giunta al termine! I quattro Musei con atto solenne dichiarano aperti i conflitti a colpi di cultura. La vittoria sia degli audaci!
Firmato Camillo Leone, Antonio Borgogna, Luigi Bruzza, Giulio II.
Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere (1443-1513), è il firmatario della dichiarazione da parte del Museo del Tesoro del Duomo. Per una battaglia così importante, il nostro comandante non poteva che essere lui.
Chi era Giulio II?
Protagonista assoluto della storia del Cinquecento europeo, papa Giulio II lottò per tutto il suo pontificato per riaffermare il potere dello Stato della Chiesa. Mosse guerra contro Bologna, Venezia e la Francia. Prima alleato, poi avversario dei Borgia, tra cui il famigerato Cesare Borgia. Di spirito combattivo, Giulio II vide ogni assalto in testa alle sue truppe militari. Fu sempre il primo ad entrare nelle città vinte o quasi, come a Modena, dove entrò da una breccia nelle mura. E si racconta che Michelangelo, impegnato a disegnargli una statua per Bologna, gli chiese dopo aver pensato alla mano destra benedicente: “Ma che farà la sinistra? Porterà un libro?” e Giulio rispose: “A me un libro? Mi tratti da scolaro? Voglio una spada”.
Eh già… Michelangelo… Perché Giulio II fu un grande mecenate delle arti, forse il più grande. Sulla scia dei suoi predecessori, per la sua Roma, chiamò quel che di meglio poteva offrire il mondo delle arti: Bramante, appunto Michelangelo, Raffaello. Ma prima di tutto ciò, prima di diventare Giulio II, ci fu Giuliano della Rovere: prima della leggenda ci fu l’uomo. E in veste vescovile occupò diverse sedi prima di arrivare al soglio pontificio. Tra cui anche Vercelli, dal 1502 al 1503.
Giuliano della Rovere a Vercelli
I documenti dicono che non prese mai “servizio” in sede, insomma non venne mai in città. Questioni romane urgevano la sua presenza e “Giuliano della Rovere si scusa col Capitolo di non poter venire alla residenza e manda il vescovo di Albenga [Leonardo Marchese]”. Niente di strano allora, era una pratica diffusa. Forse un riflesso di un’età feudale ormai al tramonto. Oggi verrebbe tacciato di assenteismo. Sta di fatto che dal Concilio di Trento (1545-1563) questa pratica cessò.
Ma Giuliano della Rovere si ricordò di Vercelli, vuoi per la sua storia, vuoi per la sua tradizione religiosa, vuoi anche per la sua vivace produzione artistica: donò alla Cattedrale di Sant’Eusebio, cioè alla città, un paramentale di cui oggi restano pianeta e piviale. Tutto regolarmente registrato nelle carte dell’Archivio Capitolare di Vercelli. Alte espressioni di un’arte tessile che nulla aveva da invidiare alle altre arti, le opere furono il frutto di una congiuntura europea tutt’artistica: il tessuto fu fatto a Venezia, i ricami in area fiammingo-borgognona. Questi ultimi, in or nuè, sono un intreccio di virtuosismo e opulenza. Ora la pianeta è esposta al Museo del Tesoro del Duomo, protetta da una teca di vetro. Troneggia sulla sala, ricorda ai visitatori quei giorni passati quando Giuliano della Rovere fu anche vescovo di Vercelli.
Dario Michele Salvadeo, volontario SCN Vercelli
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