I manoscritti medievali, come quelli della Biblioteca Capitolare di Vercelli per intenderci, affascinano tutti. Adulti, bambini, studenti, ricercatori e curiosi.
Ma quanto li conosciamo realmente? Questa è la prima tappa di un viaggio in cui, insieme a Nicolò, scopriremo qualcosa in più riguardo la loro realizzazione.
Chiudete gli occhi e immaginate di tornare indietro di 800 anni…
Vercelli. Anno Domini 1221. La neve cade copiosa sulla città mentre nello scriptorium i canonici sono intenti nel loro lavoro quotidiano. Ecco copisti, miniaturisti e legatori! Approfittiamo della distrazione di un copista, intento ad osservare la neve, per avvicinarci e spiare, senza disturbare, ciò che andrà ad utilizzare.
Una candela illumina il leggio su cui è poggiato un rotolo di pergamena.
Alla sua destra vediamo, oltre ad altri rotoli pergamenacei, una penna e dell’inchiostro.
Ora scopriamo nel dettaglio questi materiali!
La pergamena
Chiamata anche cartapecora, il suo nome deriva dal fatto che si credeva fosse stata inventata a Pergamo. Realizzata con pelle di pecora, capra e vitello dal III-IV secolo d.C. andrà a sostituire il papiro.
La pergamena ha due volti: un lato pelo, dove si trovano i follicoli piliferi e un lato carne, costituito da fibre di collagene. Una volta prelevata dall’animale veniva immersa in acqua calda e calce, depilata e raschiata. Dopo l’asciugatura era pronta per l’utilizzo.
Osservando una pergamena intera si possono vedere tutte le parti del corpo dell’animale, come il dorso, il ventre, il collo e i fianchi.
Attualmente, innovative analisi di laboratorio permettono di risalire addirittura a specie, razza e sesso dell’animale utilizzato.
La penna
Citata per la prima volta nel VII secolo da Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae, è probabile che venisse usata già nei secoli precedenti.
La penna d’oca è la più comune, in quanto venivano allevate da secoli, ma erano utilizzate anche quelle di animali selvatici come cigni e aironi. Alla penna si toglievano le barbe per favorire l’impugnatura e lasciato solo un pennacchio nella parte superiore. Veniva poi estratta la cartilagine interna e tagliato il becco, ovvero la parte che verrà poi intinta nell’inchiostro.
Una volta lavorata la penna dà il via alla scrittura.
Oro nero
Nel Medioevo andò affermandosi l’inchiostro ferro-gallico, sostituto di quello utilizzato nel mondo greco-romano che era ricavato da materiali carbonizzati, macinati e diluiti poi con acqua.
I componenti principali dell’inchiostro ferro gallico sono le noci di galla, solfato ferroso, gomma arabica e acqua.
La galla, ricca di tannini e acido gallico, è un escrescenza lignea che si manifesta sulla corteccia degli alberi in seguito alla puntura di insetti.
Il solfato di ferro reagendo con l’acido gallico dà il colore nero. La gomma arabica, prodotta dalle piante di Acacia, veniva infine usata come addensante.
E’ tempo di farsi da parte
Sembra che l’amanuense abbia ritrovato la concentrazione.
Ecco che traccia delle linee lungo la pergamena, per poter scrivere dritto. Intinge la penna nell’inchiostro ed inizia la trascrizione.
Osserviamolo per qualche secondo e poi avviciniamoci alla postazione del miniaturista che si è momentaneamente assentato…
Fine prima parte, continuate a seguirci!
Nicolò Bellomo, operatore di Servizio Civile Universale