Ci eravamo lasciati qualche tempo fa con un articolo sul corallo (lo “scheletro” dei polipi). Oggi ci concentreremo su un altro materiale di origine animale: l’osso vero e proprio.
Lo troviamo nelle collezioni del Museo, non sempre esposto, nel reliquiario in osso di San Giovanni e degli Apostoli.
Il reliquiario, nel dettaglio
L’opera si presenta in forma di cofanetto in legno. La decorazione è composta da ventotto placchette in osso, incise e lavorate.
L’impianto decorativo vuole mostrare aquile immerse in motivi vegetali.
Le prime ricerche dedicate a questo reliquiario hanno supposto che il rivestimento fosse in avorio, materiale raro e prezioso. Successive analisi scientifiche hanno invece appurato la sua natura ossea.
Alla base del cofanetto sono visibili i sigilli degli Arcivescovi Alessandro D’Angennes (1781 – 1869) e Giacomo Montanelli (1877 – 1944), che hanno evidentemente compiuto una ricognizione sulle reliquie.
Sempre nella base è presente un frammento cartaceo indica la custodia delle reliquie di San Giovanni, degli Apostoli e di Sant’Anselmo.
A proposito di quest’ultimo, è curioso il fatto che il processo di canonizzazione sia stato avviato da Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury ucciso nel 1170.
Le origini misteriose
L’arrivo del reliquiario in osso a Vercelli è avvolto nel mistero.
Tra XII e XIII secolo si ha notizia di una donazione alla Cattedrale di due pezzi d’osso appartenuti a San Giovanni, ma non si hanno prove che siano quelle contenute nel cofanetto.
Inoltre, il reliquiario non viene citato negli inventari degli oggetti della Cattedrale fino al 1846, dove è descritto come «arcula lignea cum coperculo ad instar pyramidis, avibus et foliis osseis ornata».
Sulle sue origini, nel corso degli anni, sono state formulate varie ipotesi, smentite da studi successivi.
Per lungo tempo la teoria più accreditata è stata quella formulata nel 1939 da Vittorio Viale che lo attribuì ad una bottega dell’Italia meridionale intorno all’XI secolo. Motivo fu il ritrovamento all’interno del cofanetto di un frammento di lampasso.
Recentemente sembra essersi radicata l’ipotesi di una sua provenienza basso sassone, intorno al XII secolo.
Il lampasso è stato datato al XIII secolo e attribuito ad una manifattura bizantina o spagnola.
I mille usi dell’osso nella storia
Le ossa degli animali sono state utilizzate sin dalla Preistoria per la fabbricazione di armi, utensili e ornamenti.
Già all’epoca si usava l’osso per oggetti sacri come le Veneri paleolitiche.
In età classica si ebbe una fioritura dell’industria ossea, con la realizzazione di vari oggetti: aghi da cucito, spilloni, stili, pettini, cucchiai, stuzzicadenti, dadi da gioco, bambole e pedine per giochi da tavolo.
Veniva utilizzato per intarsiare mobili e letti. In questo periodo si diffuse anche il gioco degli astragali (ossa del piede), utilizzati come dadi, ispirato alla funzione magico-religiosa che avevano sin dall’Età del Bronzo.
Con il Cristianesimo l’osso iniziò ad essere usato come materiale per croci, pastorali, reliquiari e vaghi del rosario.
Nel Medioevo il campo di utilizzo si ampliò ulteriormente: dalla sfera militare a quella musicale. In guerra era usato per la decorazione di else e scudi, manici di pugnali ed elementi di archi e balestre. In ambito musicale l’osso era modellato per realizzare flauti, canne di cornamuse e fischietti.
L’arte del macabro
Tra ‘500 e ‘700 si iniziò ad utilizzare le ossa umane come decorazioni per edifici religiosi. Questa scelta lugubre trova la sua motivazione nella necessità di esorcizzare la morte, sottolineando come il corpo non è che un contenitore dell’anima. Ne sono un esempio la Chiesa di Santa Maria Immacolata a Via Veneto e la Chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte a Roma. Mentre a Milano è meta di turisti e curiosi la Chiesa di San Bernardino alle Ossa, dove le cripte sono decorate con migliaia di ossa.
Inoltre, sono molti gli artisti contemporanei che utilizzano l’osso nella realizzazione delle opere. Ad esempio il giapponese Hideki Tokushige, conosciuto come Honebana. Egli realizza bellissimi fiori utilizzando le ossa di piccoli roditori (ovviamente già morti). Il belga Jan Fabre ha invece esposto a Venezia le sue opere in osso e vetro in occasione della mostra Jan Fabre. Glass and Bone Sculptures 1977-2017.
Il mito dell’aquila
L’aquila è onnipresente nella simbologia e nella mitologia dei popoli. Per i greci era la messaggera di Zeus, portatrice dei suoi fulmini. Per alcune tribù indiane era manifestazione del Grande Spirito.
Aristotele le ha attribuito la capacità di fissare il sole senza venirne abbagliata e in vecchiaia di immergersi tre volte in acqua per uscirne ringiovanita. Così come la fenice rinasce dalle ceneri, l’aquila rinasce dall’acqua. Queste capacità sono state riprese in seguito dai teologi cristiani, tra cui Alcuino di York, che le paragonò alla Resurrezione e all’Ascensione di Cristo.
In campo militare era lo stemma delle legioni romane, la cui perdita in battaglia era considerata una disgrazia (si vedano le disfatte di Carre e Teutoburgo).
Tra gli aztechi i guerrieri aquila erano i grandi combattenti. A seguito della cattura di nemici destinati al sacrificio, i migliori soldati entravano in questo corpo d’élite. Per consacrarne il ruolo veniva dato loro un costume da aquila.
Sulla scia dell’Impero Romano, nel corso dei secoli l’aquila divenne simbolo del potere di re, imperatori e dittatori. Attualmente è ancora presente negli stemmi di molte Nazioni tra cui Stati Uniti, Messico, Germania, Austria, Albania e Russia.
Dall’Inferno alla Terra di Mezzo le… aquile della letteratura
Nel canto IV dell’Inferno Dante attraverso l’aquila elogia il poeta greco Omero: «quel signor de l’altissimo canto che sovra li altri com’aquila vola» per la sua superiorità sugli altri poeti greci e latini. Nel Paradiso gli spiriti dei beati assumono la forma di un aquila che parla con una sola voce, per risolvere i dubbi teologici del Sommo Poeta.
Con un salto di più di seicento anni ritroviamo l’aquila nel capolavoro di J.R.R. Tolkien Il Signore degli Anelli. E’ quest’animale a salvare il mago Gandalf dalla torre in cui è imprigionato dal malvagio Saruman e i due hobbit Frodo e Samvise dalle pendici del Monte Fato prossimo alla distruzione.
Nicolò Bellomo, operatore di Servizio Civile Universale