Per chi conosce la Biblioteca Capitolare, il Codex Vercellensis Evangeliorum, noto anche come Codice A, è tra i manoscritti che più spesso vengono menzionati.
Insieme al Vercelli Book è certamente tra le star della Biblioteca. Ma, a ben guardare, è lui l’archetipo. Il libro dal quale prende il via la storia della Biblioteca Capitolare di Vercelli. Una narrazione lunga quasi duemila anni che da quel primo volume ha portato la Chiesa di Vercelli e la sua Biblioteca ad essere una delle più importanti del nord Italia.
Tra leggenda e storia
L’attribuzione del Codice ad Eusebio, primo vescovo di Vercelli e del Piemonte, risale alla sua Vita antiqua, composta tra il VII e l’VIII secolo.
L’analisi paleografica ha fissato la redazione del testo alla seconda metà del IV secolo, confermandone la datazione tra 345 e 371. Il manoscritto è una Vetus Latina, cioè una traduzione dal greco al latino dei quattro Vangeli canonici, anteriore alla Vulgata di San Gerolamo del 382. E’ costituito da 634 pagine di pergamena finissima e chiara, scritta su due colonne di 24 righe ciascuna in splendida onciale tardoantica. Oltre ad abbreviazioni molto rare, vi è l’uso di inchiostro rosso solo ad inizio e fine di ogni vangelo e per la segnatura dei fascicoli. L’ordine dei vangeli è quello detto “occidentale” che premette i testi dei due apostoli a quelli dei due discepoli (Matteo e Giovanni, Luca e Marco).
Un tesoro di fede e arte
Nonostante la diffusione della Vulgata, il Codex Vercellensis Evangeliorum resta in uso fino all’Alto Medioevo per diventare poi oggetto di devozione. Alcuni suoi fogli vengono donati come reliquie a chiese e diocesi legate alla Cattedrale Eusebiana, essendo ritenute scritte dalla mano stessa del protovescovo Eusebio. Proprio quale reliquia, il volume venne utilizzato per solenni giuramenti con apposizione delle mani sul piatto superiore della legatura, oltre al tocco delle pagine per preghiera e richieste di intercessioni miracolose. Anche per questo fogli e legatura sono giunti a noi fortemente deteriorati.
Non si hanno notizie circa la legatura originale del codice, ma la fama e l’importanza del codice hanno visto l’interesse di figure di spicco del X secolo. Quella in argento dorato e sbalzato giunta sino a noi, separata dai fogli ed esposta oggi nel Museo del Tesoro del Duomo, si data proprio a quel periodo. Un’iscrizione sul piatto inferiore ricorda, infatti, la donazione di Berenagarius rex.
Il Codice A e le nuove tecnologie
Nel 1908 il Codex Vercellensis Evangeliorum fu sottoposto a restauro presso il laboratorio della Biblioteca Apostolica Vaticana sotto la direzione del cardinale Franz Ehrle, reso urgente per il cattivo stato di conservazione del manoscritto. I fogli vennero consolidati con l’uso di gelatina animale, che ancora oggi garantisce l’adesione dei più piccoli frammenti alla pagina.
Grazie alle nuove tecnologie è stato possibile intraprendere un restauro virtuale. Nel 2014 il team del Lazarus Project è approdato a Vercelli, con il supporto dell’Università del Mississippi. Attraverso una strumentazione molto sofisticata, derivante da quella utilizzata dalla NASA nello spazio, hanno condotto indagini multispettrali sul manoscritto. Scattando con apparecchiature ad alta tecnologia una serie di fotografie particolari, poi unite in diverse combinazioni dal computer, le parti cancellate o sbiadite e non più visibili ad occhio nudo si possono leggere virtualmente.
Questo il risultato del restauro virtuale.